Questo articolo incentrato su una concezione ecologica della rete è proposto da Romuald Priol, sviluppatore web presso Peaks Lyon, esperto in performance del web e degli applicativi, referente del collettivo Numérique Responsable e rappresentante di GreenIt.fr

La progettazione di un servizio digitale non è più una cosa complessa. In effetti è diventato molto facile creare un sito tramite CMS come WordPress. Queste soluzioni consentono a un elevato numero di persone di progettare siti web in tempi rapidi, senza dover necessariamente tenere conto delle conseguenze legate a questa modalità di sviluppo.

Gli impatti del mondo digitale

Le conseguenze di un progetto digitale sono molteplici:

  • I problemi di accessibilità che non consentono a soggetti con disabilità, comprese le persone non udenti e con disturbi uditivi, di accedere a molti servizi digitali.
  • I problemi di natura etica, come il recupero o l’uso dei dati personali senza avvisare gli utenti.
  • I problemi di sicurezza: ogni giorno vengono scoperte nuove vulnerabilità e molti sviluppatori non prestano la dovuta attenzione alla protezione dei dati. È invece assolutamente necessario proteggere le proprie applicazioni, i propri dati e, soprattutto, quelli dei nostri utenti.

Gli impatti ambientali

La conseguenza meno conosciuta, ma di cui stiamo prendendo sempre più coscienza, è quella più sfuggente: l’impatto ecologico del digitale.

Il vero problema è la sua natura invisibile. Quando si utilizza un telefono, abbiamo a che fare con un prodotto che è stato progettato, fabbricato, fornito e venduto: abbiamo acquistato (o noleggiato) un bene materiale che esaurisce a poco a poco determinate risorse e che, prima di arrivare nelle nostre mani, ha consumato energie di vario genere. È un prodotto materiale che ci fa pensare sia alle risorse limitate estratte dal pianeta per la sua realizzazione, sia alle risorse che continuiamo a esaurire per fornire l’elettricità necessaria al suo funzionamento.

Con il web la questione è molto più complessa: essendo immateriale, non viene infatti da pensare che l’uso di un’applicazione possa inquinare, come ad esempio:

  • Guardare un film su Netflix o una serie televisiva tramite il decoder TV connesso al box internet.
  • Giocare online con la propria console.
  • Sfruttare la potenza del “cloud” per effettuare il backup dei propri video, delle proprie immagini e dei propri documenti.
  • Postare i messaggi sui social network.
  • Leggere le proprie e-mail.

Tutte le operazioni che svolgiamo attraverso un dispositivo digitale hanno un impatto reale, più o meno importante, che non possiamo assolutamente trascurare.

GreenIt.fr ha pubblicato un rapporto sull’impronta ambientale prodotta dai sistemi digitali a livello mondiale, da cui possiamo osservare varie cifre ricavate dagli indicatori ambientali che ci consentono di farci un’idea sull’impatto ambientale del digitale:

Secondo questo rapporto, il digitale…

  • utilizza il 4,2% dell’energia primaria consumata sul pianeta
  • emette il 3,8% delle emissioni totali di gas a effetto serra
  • consuma lo 0,2% di acqua potabile
  • consuma il 5,6% dell’elettricità prodotta nel mondo.
Impronta ecologica prodotta dai sistemi digitali a livello mondiale (https://greenit.fr 2019).

Le cifre di questi impatti non “spaventano” ma rappresentano valori giganteschi:

  • il 3,8% delle emissioni di gas a effetto serra = 116 milioni di giri del mondo in automobile
  • lo 0,2% del consumo di acqua = 3,6 miliardi di docce

Occorre anche mettere queste cifre in relazione a un altro dato, ovvero al numero di utenti di Internet:

la percentuale degli utenti con accesso a Internet nel mondo (donnees.banquemondiale.org, 2017).

Nel 2019, circa il 6% del consumo elettrico mondiale è stato causato dal digitale generando emissioni di gas a effetto serra pari a quasi il 4% delle emissioni globali (e la metà della popolazione mondiale non ha ancora accesso a Internet).

Non dimentichiamo che il progresso tecnologico ci ha consentito di conoscere meglio il nostro pianeta. Ad oggi sappiamo che alcune risorse (antimonio, stagno, nichel, cobalto, ecc.) sono disponibili in quantità limitata. Quando le avremo estratte tutte non ci saranno più!

Schema estratto da libro “La guerra dei metalli rari” di Guillaume Pitron

Il digitale è un grande consumatore di risorse. Oltre ad essere rare, quelle generalmente utilizzate per la produzione dei nostri dispositivi sono anche scarsamente riciclabili.

L’esempio più emblematico è quello delle “terre rare”: nonostante il loro nome, non sono specificamente rare nel nostro suolo, ma vengono riciclate in misura minore dell’1%:

un vero disastro dal punto di vista ambientale.

Ci sono delle soluzioni

1. Prolungare il ciclo di vita dei nostri dispositivi

La prima soluzione è prolungare il ciclo di vita dei nostri dispositivi, visto che l’impatto maggiore è causato dagli utenti:

Il loro ruolo è molto più importante di quello della rete e dei centri informatici, ma occorre tenere conto che più grande è il dispositivo utilizzato, tanto maggiore sarà l’impatto negativo prodotto sull’ambiente: uno smartphone con un display da 6” (15,2 cm) avrà un impatto minore rispetto a un computer portatile da 15” (38,1 cm) che avrà a sua volta un impatto minore rispetto a un televisore connesso da 85” (215,9 cm).

Detto questo, potremmo usare meglio il digitale e, soprattutto, di concezione migliore! Ciò avrebbe un impatto sensibilmente minore su reti e centri informatici (e quindi limiterebbe l’uso delle risorse necessarie per queste infrastrutture).

2. Sviluppare sistemi digitali di concezione migliore

Un servizio digitale può essere sviluppato da qualsiasi persona, in qualsiasi modo, con qualsiasi tipo di architettura software, e questo è un grande punto forte del web: tutti possono partecipare alla sua concezione, portare idee e fare evolvere le cose. Ma questo è anche uno dei suoi maggiori punti deboli: tutti possono partecipare e accrescere i vari problemi o gli impatti del web senza esserne consapevoli.

Un servizio digitale e un’applicazione sono codificati e ci sono mille modi per codificare una stessa funzionalità. Dal più lento al più veloce, dal più energivoro al più sobrio. La Startup di Nantes Greenspector.com fornisce un servizio che consente di evidenziare il consumo di un’applicazione o di un sito su un dispositivo mobile:

consumo di energia finale (in mAh) dei browser Internet durante la navigazione sui vari siti.

Questo schema tratto dal rapporto “Quali sono i migliori browser web da utilizzare nel 2020? ” illustra semplicemente il consumo di energia (in mAh) causato dalla navigazione sui siti Internet tramite i vari browser su uno stesso dispositivo, con le stesse specifiche in termini di hardware, software e connettività (per essere più affidabili, le misurazioni vengono eseguite in un contesto identico).

A un primo sguardo si può osservare che alcuni browser (Opera/Brave) sono molto più efficienti di altri (Firefox/Opera Mini) nello svolgimento di una stessa funzione: visualizzare una pagina web.

Questa analisi può essere direttamente correlata con le previsioni di autonomia della batteria rispetto al browser utilizzato:

proiezione dell’autonomia delle applicazioni mobili (in numero di ore).

Per una batteria e uno smartphone equivalente è quindi possibile navigare in Internet due volte più a lungo utilizzando Opéra o la versione “preview” di Firefox, che utilizzando Firefox o la versione “mini” di Opéra… Altrimenti detto:

a parità di utilizzo, potrai ricaricare due volte meno la batteria utilizzando un browser più efficiente. E questa constatazione è valida per tutte le applicazioni utilizzate!

Quello che sto cercando di dimostrare con questo esempio è che, anche tra i grandi editori di software, sussistono forti disparità a livello di progettazione. Prova dunque a immaginare a quante persone con scarsa o nessuna conoscenza della qualità dei software, delle prestazioni IT o della progettazione ecocompatibile possono popolare i siti Internet.

Software di concezione ecocompatibile

In materia di progettazione dei software, esiste una norma ISO cui fare riferimento quando si parla di progettazione digitale ecocompatibile: la ISO/TR 14062:2002. Questa norma descrive i concetti e le pratiche in uso per l’integrazione degli aspetti ambientali nella progettazione e nello sviluppo del prodotto. È interessante notare che essa è stata pensata allo stesso tempo per i beni materiali e i servizi.

L’implementazione di criteri ecocompatibili nell’ambito di un progetto informatico presenta molteplici vantaggi: essa non permette infatti soltanto di tenere conto dell’economia delle risorse del pianeta al momento della creazione dei servizi già durante la fase di progettazione, ma consente anche di ottenere maggiori prestazioni che derivano direttamente dalle regole applicate (assicurando in tal modo un comfort di utilizzo più elevato).

Come si fa a progettare un’applicazione ecocompatibile?

Prima di parlare di ecocompatibilità, è necessario capire cosa si possa progettare in base a tali criteri. Un sito Internet può essere eco-progettato soltanto se sono tali anche gli elementi che lo compongono. Parlare di progettazione ecocompatibile di un software o di un’applicazione senza tenere conto di questi aspetti è semplicemente incoerente! L’importante è comunque agire con sobrietà.

Un’esigenza di natura ecologica non si soddisfa necessariamente con una piattaforma IT! Avere un sito Internet per una persona che vuole attirare clienti a casa propria potrebbe non essere di alcuna utilità. Tutto dipende dal proprio mestiere e dai propri obiettivi. In alcuni casi, un semplice volantino pubblicitario in cassetta potrebbe attirare un maggior numero di clienti!

Una volta riconosciuta l’utilità del servizio digitale, e constatato che la soddisfazione di una specifica esigenza avrà un impatto migliore con il digitale che senza, possiamo iniziare ad analizzare le varie funzionalità del sito web.

Un sito commerciale, non deve ad esempio avere obbligatoriamente uno spazio di connessione, soprattutto per il primo ordine di un cliente. Forzare i propri utenti a registrarsi sul proprio sito accresce il numero di passaggi che li portano al completamento della transazione. Anche in questo caso, tutto dipende dalle necessità specifiche. Il proprietario del sito deve vendere i prodotti e non necessariamente gestire centinaia di dati utente che non gli serviranno a niente e che archivierà in modo tutt’altro che sicuro. La semplificazione dei passaggi di vendita può essere utile sia per l’utente che per il cliente.

Il caso delle pagine di contatto: perché dover gestire un modulo intero quando nella maggior parte dei casi un semplice tag <a href=’mailto :mail@domain.tld’ >< /a> è sufficiente? Perché visualizzare un plugin di mappatura che rallenta drasticamente lo Speed Index delle pagine quando è sufficiente una semplice immagine caricata dinamicamente con un link che reindirizza al sito di mappatura?

Abbiamo la cattiva abitudine di rendere le cose troppo complicate; questa complessità riduce la qualità del software delle nostre applicazioni, dei nostri siti e aumenta il numero di righe di codice da gestire: passiamo più tempo a mantenere le funzionalità, aggiornarle e ad apportare modifiche, che a dedicarsi realmente al soddisfacimento di un’esigenza utile.

Una volta compilato un elenco di funzionalità chiaramente individuate e che un designer è passato da lì per gestire la UX tenendo conto di un percorso utente semplice e accessibile, privo di “Dark pattern” e scorrimenti infiniti, possiamo scegliere l’hosting che ospiterà il nostro sito!

Scegliere un hosting sensibile alle tematiche ambientali

Di hosting ce ne sono davvero tanti, ma sono rari quelli che mettono al primo posto il rispetto per le problematiche ecologiche e sociali. È per i punti elencati di seguito che generalmente consiglio Infomaniak:

  • l’energia consumata da questo hosting è certificata “TUV SUD EE01” e “Naturemade Star” a garanzia che l’energia utilizzata dai loro datacenter proviene al 100% da fonti rinnovabili;
  • non vi è un sovraconsumo di corrente poiché i datacenter sono raffreddati tramite l’aria esterna filtrata. Non sono i grandi condizionatori d’aria a fare il lavoro;
  • favoriscono gli acquisti a filiera corta responsabili (sono pochi i prodotti che provengono dall’altra parte del mondo)
  • compensano al 200% le loro emissioni di gas a effetto serra (sebbene si concordi sul fatto che la compensazione è la “meno peggiore” delle soluzioni; se non producessimo C02, non dovremmo nemmeno compensarla);
  • prolungano il ciclo di vita dei server allo scopo di ridurre la quantità di CO2 emessa per la loro produzione. I server vengono utilizzati per un periodo di almeno 5 anni.

È incoraggiante vedere come un’impresa così grande possa effettivamente fare le cose nel modo giusto, impegnandosi a rispettare il nostro pianeta nel miglior modo possibile.

Architettura & scelta del codice

Pensiamo anche all’architettura che dovremo realizzare: dovremo farci carico di un flusso di dati importante che ci indirizzerebbe verso un sito dinamico? I dati visualizzati servono dunque soltanto a presentare un profilo semplice, un’impresa con poche informazioni, ma rilevanti, che potrebbero essere interamente generate con un sito statico che eviterebbe di dovere gestire uno spazio di connessione, un database e tutti i problemi di sicurezza che ne derivano? Quest’ultima scelta ci sarà di grande aiuto per sapere se avremo a che fare con un CMS come WordPress, un Framework, o un codice “from scratch”.

Anche questo passaggio è decisivo nella scelta del linguaggio informatico da utilizzare. Il codice HTML può essere generato in molti modi diversi attraverso un’ampia varietà di linguaggi informatici. Ma anche in questo caso è necessario tenere conto di vari parametri: la conoscenza dei propri team e l’energia utilizzata dal proprio linguaggio per generare il codice HTML.

Non tutti i linguaggi informati sono uguali. Ce ne sono alcuni più facili da imparare e anche più conosciuti di altri, per cui sarà più facile trovare la documentazione e soluzioni ai potenziali problemi che il tuo team potrebbe incontrare. I linguaggi informatici presentano anche differenze a livello di consumo di risorse durante la loro esecuzione, utilizzano più o meno RAM (memoria viva) e CPU per funzionare.

Uno studio consente di comprendere le differenze di performance tra linguaggi informatici. Si può osservare che alcuni linguaggi “recenti”, come GO o RUST, sono ben strutturati su tutti i criteri (energia utilizzata, tempo di esecuzione e memoria utilizzata). È anche bello riscontrare che i nuovi linguaggi informatici possono fornire maggiori prestazioni di quelli normalmente in uso.

È importante tenere conto della generazione del codice lato server (il codice che genera dati in modalità dinamica). Ma non dobbiamo perdere di vista che, in generale, l’impatto maggiore che si può attenuare è sul lato client, poiché la realizzazione del caching lato server consente di ridurre drasticamente la generazione del codice. Sarà il cliente a scaricare i dati, a effettuare centinaia di richieste e sarà costretto ad aggiornare il proprio browser o addirittura il proprio computer, qualora avverta “rallentamenti” del sistema, visto che l’applicazione non è stata resa abbastanza potente in considerazione dei limiti di soluzioni hardware di concezione meno recente.

Non dimentichiamo che viviamo in un’epoca in cui non cambiamo il telefono quando non funziona più, bensì quando non è più al passo con i tempi!

Le applicazioni, come tutti i siti Internet, sono sempre più pesanti e richiedono sempre più spazio di memoria ai dispositivi utente. Tutto questo produce l’effetto diretto di doverli cambiare molto più spesso per poter utilizzare le applicazioni e gli aggiornamenti che consumano sempre più CPU, RAM, spazio di archiviazione ed energia: un fenomeno, questo, chiamato bloatware.

Oggi, per soddisfare uno stesso bisogno, è richiesto un maggior consumo di risorse e di energie rispetto a 10 anni fa! Per creare uno stesso testo in Word, eseguire la stessa operazione in Excel o scrivere la stessa e-mail con Outlook, occorre 114 volte di RAM in più con una coppia Windows 8 / Office 2013 che con Windows 98 e Office 97 (se interessati, il libro “Sobriété Numérique” di Frédéric Bordage, edizioni “La verte” 2019, spiega molto bene questo concetto 😉).

E adesso possiamo iniziare a codificare! E non in un modo qualunque ma, come sempre, con sobrietà ed efficacia. È evidente che, qualsiasi codice tu voglia generare, non devi reinventare la ruota. Questa è una frase che si sente dire spesso nel mondo dello sviluppo. Se un pezzo di codice, un bundle o un modulo esiste già, puoi anche usarlo: è vero, e utilizzandolo puoi contribuire al suo miglioramento!

Tuttavia, ci sono molti casi in cui si assiste a utilizzi estremi di questa metodologia di riutilizzo dei componenti: quelli in cui scarichiamo un’intera officina per riutilizzare una sola ruota. Dobbiamo fare attenzione alle nostre dipendenze. Ridurre la propria dipendenza dai moduli esterni è un buon metodo a livello eco-concettuale, ma anche a livello di qualità del software: non è poi così facile mantenere parti di codice che conosci, ed è ancora più difficile quando queste parti non si conoscono e possono evolversi a un ritmo diverso dal tuo.

È anche importante fare attenzione alle versioni target dei nostri framework, pensando a mantenere la massima compatibilità possibile con i vecchi dispositivi. Il targeting delle versioni più recenti ci offre funzionalità non necessariamente utili al codice che andiamo a produrre, e interrompe inoltre il supporto della nostra applicazione con le versioni precedenti di sistemi operativi per dispositivi mobili, tablet o PC. Nel caso in cui la tua applicazione integri una nuova funzionalità che avrebbe potuto funzionare su vecchi supporti, costringerai tuo malgrado gli utenti a cambiare dispositivo per stare al passo con le tue evoluzioni o, meglio ancora (ecologicamente parlando), ad abbandonarti.

Buone pratiche

Quindi, non ti resta altro che codificare il tuo servizio nel massimo rispetto delle buone pratiche eco-concettuali che puoi trovare nella guida alle 115 buone pratiche di progettazione ecocompatibile del web di Frédéric Bordage.

Ecco alcuni esempi: di buone pratiche:

  • eliminare le funzionalità che non sono essenziali;
  • prediligere il metodo di inserimento assistito e il complemento automatico;
  • limitare il numero di requisiti HTTP;
  • scegliere un formato di dati adatto;
  • tagliare i CSS;
  • prediligere i caratteri standard;
  • evitare animazioni Javascript/CSS costose;
  • connettersi a un database soltanto se necessario;
  • scegliere un hosting verde come Infomaniak;
  • definire un piano di fine del ciclo di vita.

Dobbiamo lavorare a una progettazione ecocompatibile delle esigenze riposte nei nostri software e nei nostri servizi digitali, ovviamente evitando di fare del “greenwashing digitale”. La guida alle 115 buone pratiche della progettazione ecocompatibile costituisce una base di informazioni eccellente grazie alla quale è possibile mettere in atto una strategia più responsabile nell’ambito dei propri servizi IT. L’insieme delle regole consente di alleggerire i propri siti, di rendere il web più sobrio, veloce e accessibile!

È importante capire la necessità di rispettare al massimo le regole per poter progettare un sito Internet all’insegna di criteri ecocompatibili. Si vedono molti siti che dichiarano di essere low-tech e/o di concezione green, rispettando tuttavia soltanto alcune regole di progettazione ecocompatibile, non avendo studiato sufficientemente le esigenze dell’utente e non avendo analizzato (a monte se possibile) gli impatti dei loro servizio in base a vari criteri (consumo di acqua, energia, risorse, emissioni di gas a effetto serra, ecc.). Il risultato è contrastante: forse le risorse del sito sono ridotte al minimo, forse le immagini sono compresse, forse le pagine sono statiche e abbastanza veloci, ma se l’architettura di base è sovradimensionata per cui una moltitudine di script differiti carica una dozzina di terze parti che rallentano il sito nel suo insieme e accrescono la quantità di RAM e CPU utilizzata dal browser Internet del client, allora non lo si può definire un sito “di concezione ecocompatibile”, bensì un sito che ha seguito alcune regole di performance web.

Tool per l’analisi della performance

Esistono dei tool di analisi che consentono di analizzare le performance dei servizi. Questi sono presenti lato back (con l’eccellente BlackFire per analizzare le proprie applicazioni PHP e python), lato applicativo (con i software ReSharper, DotTrace per le applicazioni C, C++ o C#) e lato front con i tool di analisi statica già esistenti (Dareboost, Gtmetrix o addirittura Web.dev). Questi tool sono potenti e, una volta che il sito o l’applicazione è disponibile, consentono di analizzare la performance e di ottenere una serie di consigli per migliorare le prestazioni del servizio.

Report dell’analisi di un sito tramite Dareboost.com

La performance è (in generale) vantaggiosa per il web. Uno dei vantaggi della progettazione ecocompatibile è la disponibilità di applicazioni naturalmente efficaci! Non dimentichiamo però che non è vero il contrario: un’applicazione ad alta prestazione non è necessariamente eco-progettata.

Facciamo un semplice esempio: l’implementazione differita di script Javascript del proprio sito. Quando si ha un numero elevato di Javascript, che si è abituati a usare per qualsiasi cosa, di solito si hanno problemi di prestazioni. Troppi Javascript significano troppe richieste da effettuare per recuperarli, troppo tempo di caricamento dei file, troppi contenuti da leggere e da eseguire da parte del browser. In presenza di Javascript che bloccano il rendering della pagina (che è l’ideale: D) possiamo decidere di differire la presa in considerazione di questi script da parte del browser con l’attributo “defer”. Gli script saranno in tal caso eseguiti per ultimi, uno dopo l’altro, e la pagina verrà visualizzata molto più velocemente. Avremo quindi guadagnato in termini di performance e avremo sicuramente un SEO migliore, visto che SpeedIndex diminuirà e il rendering della pagina sarà molto più rapido.

Ciò nonostante, sul sito non è cambiato nulla! È sicuramente più performante, ma scarica comunque tante risorse che:

  • potrebbero non soddisfare le esigenze iniziali;
  • potrebbero essere troppo pesanti;
  • sono ancora il frutto degli sviluppatori che hanno abbandonato il progetto, consentendo di eseguire azioni ad oggi non utilizzate.

In questo caso, il sito è diventato davvero più efficiente, ma non lavora all’insegna di criteri ecocompatibili!

Tool di analisi di concezione ecocompatibile

Per monitorare gli indicatori di ecocompatibilità in modo più preciso, le associazioni hanno creato dei tool per stimare l’impronta dei nostri servizi digitali:

Il collettivo Numérique Responsable, di greenit.fr ha realizzato il sito ecoindex.fr :

Impronta ambientale testata sul sito ecoindex.fr

EcoIndex calcola l’impronta ambientale in funzione del livello di ecocompatibilità. Il calcolo viene effettuato a partire da un impatto medio in termini di emissioni di gas a effetto serra e consumo di acqua dolce. Questo valore medio viene espresso in funzione del livello di ecocompatibilità. È un approccio semplice che fornisce un ordine di grandezza realistico.

Si consideri che le estensioni sono disponibili sui browser Chrome e Firefox per monitorare le sessioni di navigazione sulle proprie pagine Internet. Ciò consente di stimare l’impronta e il livello di maturità ecocompatibile per un percorso utente completo.

Riepilogo dell’estensione Firefox EcoIndex su un sito Web.

Il collettivo GreenIt.fr e alcuni loro partner hanno anche realizzato il sito Ecometer.org, un servizio che consente di identificare il numero di buone pratiche implementate (o no) di un servizio digitale tramite il proprio URL: il sito elenca i punti ancora da implementare per ridurre l’impatto ambientale della pagina o del servizio web sottoposto ad analisi.

Una piccola parte delle buone pratiche applicate tramite un’analisi di Ecometer.org

Gli “shifter” dell’associazione The Shift Project hanno anche concepito un tool che permette di stimare l’impronta ambientale del proprio sito Internet, Carbonalyser, utilizzabile tramite un’estensione sul browser Firefox. Il metodo dello shift dipende dalle ricerche effettuate attraverso il programma “1byte model” che converte i dati trasmessi al navigatore in equivalente di elettricità (kWh), che a sua volta viene convertito in equivalente di C02. È un metodo che può avere i suoi difetti (visto che l’impatto dell’elettricità varia da una zona geografica all’altra), ma l’applicazione fornisce una buona panoramica dell’impatto prodotto durante la navigazione in Internet.

Interfaccia dell’estensione Firefox “Carbonalyser” concepita da The Shift Project.

Questi tool di vario genere consentono di rilevare il reale impatto delle proprie pagine web misurando gli indicatori relativi all’ambiente. È questa il punto centrale del processo: consentirci di progettare applicazioni più sobrie e funzionali, rispettando al massimo le risorse del pianeta per sfruttare la tecnologia digitale il più a lungo possibile.

Conclusioni

Il digitale continua a essere uno strumento ancora giovane in continua evoluzione da 30 anni. Ci è di continuo supporto in numerosi ambiti, ci avvicina gli uni agli altri, semplifica i nostri compiti, ci fa risparmiare tempo. Ci consente di comprendere meglio le nostre interazioni reciproche, con la biodiversità, di capire meglio gli impatti che produciamo sul pianeta!

Questa giovinezza presenta però anche dei punti deboli: dobbiamo imparare a padroneggiarla meglio, a usarla con il buon senso, forse in modo più sobrio, per il bene dell’umanità e del nostro pianeta! È davvero importante utilizzare e progettare il digitale con sobrietà!

Non dimentichiamo che sta soltanto a noi ridurre più efficacemente il nostro impatto sul pianeta cambiando abitudini che gravano ancora di più sull’ambiente (riducendo l’uso dell’auto, evitando di prendere l’aereo, adottando una dieta vegetariana, passando a “rifiuti zero”, filiera corta, ecc … 😉).

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